Articolo apparso su Radar 20 febbraio 2020 n. 8/2020
SPUNTI DA UN VIAGGIO
Circa 130 gorgonzolesi hanno partecipato fi nora ai pellegrinaggi in Terrasanta e Israele organizzati dalla Comunità parrocchiale sulle strade percorse da Gesù. Di seguito ospitiamo una rifl essione sulla città di Gerusalemme.
Per Ebrei, Cristiani e Mussulmani Gerusalemme è molto più che una città e questo fatto costituisce uno dei nodi da sciogliere.
Per palestinesi e israeliani Gerusalemme è capitale lacerata di una terra che essi si contendono per cause giuste; ma perseguite non senza errori e intolleranze.
Come potranno popoli con storie e vissuti cosi diversi e contrapposti convivere insieme nella pace e nella giustizia?
Questa è la domanda che è nel cuore di ogni uomo, nel tempo che stiamo vivendo.
In coscienza ci chiediamo che cosa possiamo fare noi per non limitarci ad osservare impotenti i fatti che continuano a sconvolgere la vita quotidiana di chi abita Gerusalemme e la sua terra.
Il cardinale Martini ha avuto modo di richiamare più volte il grande amore
che unisce Ebrei, Cristiani e Mussulmani verso la città santa e, partendo dalla Parola del profeta Amos (5, 13) “perciò il prudente in questo tempo tacerà perché sarà un tempo di sventura” ci invita a non prendere posizioni di parte, ma a scegliere la via dell’intercessione, che è uno stare in mezzo, saldo e solidale.
Un’intercessione che ci porti a chiedere innanzitutto a Dio un cuore pacifico, purificarci da ogni fremito di ostilità, di partito preso, di pregiudizio.
Tutti questi sentimenti negativi emergono vistosamente proprio ai nostri giorni, stimolati dalle notizie, dalle immagini.
Così, mentre preghiamo per la pace, nel fondo del nostro cuore finiamo per parteggiare, per giudicare, per auspicare l’uno o l’altro successo.
C’è un pieno diritto a considerare amata e santa dai tre popoli la città di Gerusalemme.
Auspichiamo allora per tutti noi la forza di avere tre amori congiunti; cosa
difficile, ma desiderabile per chi soffre con i popoli in conflitto e vuole la pace.
La pace è un processo in cui tutti noi siamo chiamati a intervenire, a operare anche sul linguaggio che rifiuti ogni violenza che gronda sangue, a saper parlare con parole che offrano speranza, apertura, condivisione.
Tenere quindi i ponti aperti con entrambi i popoli, pur sapendo che è una situazione complessa, intricata, che porta lacerazioni nel cuore. E un breve Midràsh (racconto, commento alla Torah) ci aiuta a capire qual è l’atteggiamento da vivere: “gli uomini facevano il male, allora Dio fece in modo che si creassero sulla terra monti e avvallamenti per rendere difficile la comunicazione e cosi avvenne.
Vista però la situazione che si era generata nel mondo, ebbe misericordia per i popoli e mandò gli angeli a stendere le ali per togliere ogni pendenza e facilitare così la comunicazione e il passaggio, creando ponti.
Ecco è proprio vero: il ponte è il lavoro degli angeli; a noi tocca creare ponti di comunione.
Rosella Pirola
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