“Senza una visione di insieme non andrà bene a nessuno”
Intervento dell’Arcivescovo Mario Delpini
Quale città vogliamo costruire? Babilonia, l’arrogante prepotenza, che si compiace di quando gli procura la sua intraprendenza senza scrupoli; o Gerusalemme, la città santa, splendida e sicura, risplendente non di una propria gloria, ma della gloria di Dio, solida perché fondata sulla storia della fedeltà di Dio?
La questione si pone in modo drammatico in questo tempo.
La domanda ha senso se possiamo scegliere, se noi, la gente comune, possiamo decidere, se non è già tutto deciso dai padroni del mondo, dai registi di una recita con milioni di comparse, in cui i protagonisti sono una manciata.
Possiamo scegliere quale città costruire? La risposta non è sì, non è no. In parte possiamo scegliere, in parte siamo pedine e numeri di una strategia decisa da altri, altrove.
Possiamo però essere determinanti vivendo tre parole:
1 – Lo sguardo
Alziamo lo sguardo verso la città promessa, verso la rivelazione di una alternativa alla tirannide di Babilonia. Anche se tutti vogliono convincerci a una ossessiva concentrazione sull’emergenza, quasi a predisporci alla resa, quasi a convincerci che, quando poi si riprende il lavoro, bisogna lavorare a qualsiasi condizione, quasi ad alimentare la rabbia e lo scoraggiamento, noi alziamo lo sguardo.
C’è una possibile alternativa, c’è una città in cui si vive non per accumulare profitti, ma per far risplendere la gloria di Dio, cioè l’amore che rende capaci di amare.
2 – Il pensiero
La considerazione della disastrosa rovina di Babilonia aiutino a pensare, a cercare insieme. Aiutino a tener viva la cultura del lavoro, il pensiero critico e il pensiero costruttivo, il pensiero che sogna e il pensiero che organizza, il pensiero che ha il senso del proprio limite e il pensiero che coglie il limite del pensiero altrui, il pensiero che produce cultura e non solo slogan. Il pensiero che cerca il senso di ogni cosa. Il pensiero che non disprezza i pensatori di mestiere e il pensiero che sa ascoltare anche la voce dei semplici, il gemito dei poveri, il pensiero che riflette sulle le notizie censurate delle disgrazie altrui e si domanda: ma perché i poveri sono poveri?
3 – La resistenza
L’impresa di aggiustare il mondo, di rimediare al disastro, chiede solidità, impegna a resistere. La forza della resistenza viene dall’essere attaccati alla roccia, radicati nel Dio che non delude e non abbandona.
La forza della resistenza viene dall’essere insieme. Nell’appartenenza convinta al popolo di Dio in cammino nella storia, è possibile la perseveranza che affronta le sfide e non si lascia abbattere dalle sconfitte.
L’umanità così umiliata dalla globalizzazione della pandemia, così tribolata dalla globalizzazione dell’iniquità, così minacciata da logoranti, crudeli, conflitti, da questa specie di terza guerra mondiale a pezzi, invoca una conversione alla solidarietà. “Senza una visione di insieme non andrà bene a nessuno” (Papa Francesco).
Senza una pratica quotidiana, strutturale della solidarietà tutti prima o poi saremo tra le vittime.
Diceva il Cardinal Martini:
«Non è sufficiente lavorare bene ciascuno per conto suo, con onestà e intelligenza, bisogna avere davanti agli occhi un progetto globale e completo del senso del proprio lavoro, nel quadro più generale dell’attività umana.
Il mondo del lavoro ha bisogno di scelte importanti di solidarietà.
Vi chiedo una forte presenza di coesione di fronte alle difficoltà, una partecipazione convinta e unitaria per i comuni obiettivi di giustizia e equità poiché voi ne avete la forza, essendo fattori fondamentali dello sviluppo della società.
Abbiate il coraggio di intravedere le soluzioni, non serve lamentarsi ma unire insieme capacità e sensibilità e costruire, con le altre forze sociali e istituzionali, una realtà più umana.
Allora compirete non solo un lavoro a misura umana, ma raggiungerete una pienezza di vita».
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