In Sala Argentia cinama & teatro, Via Matteotti, 30 – Gorgonzola www.argentia.it
- Sabato 26 settembre ore 21.00
- Domenica 27 settembre ore 18.00
- Lunedì 28 settembre ore 21.00
DA NON PERDERE!
Si tratta dell’ultimo film (un autentico capolavoro) del grande regista Terrence Malick, sulla vicenda di Franz Jägerstätter, realmente esistito, che si è opposto al nazismo e alla seconda guerra mondiale, rifiutando il nazionalsocialismo a motivo della sua profonda fede cattolica, e che è stato dichiarato “Beato e martire per la fede” da papa Benedetto XVI nel 2007 (sua moglie, ultracentenaria, morirà 6 anni dopo la beatificazione, nel 2013).
Durante tutto l’arco del film Franz si trova a lottare tra due scelte fondamentali: se accettare lo stato delle cose in un compromesso con il “meno peggio”, oppure non tradire ciò in cui crede profondamente a prezzo della sua libertà, del rispetto degli altri, delle persone che ama di più.
Franz Jägerstätter è un profeta con una larghezza di vedute e una profondità che solo alcuni suoi contemporanei hanno avuto (un anno prima di lui, ad esempio, il padre pallottino Franz Reinisch aveva rifiutato la leva con le sue stesse motivazioni), è un esempio di fedeltà alle richieste della coscienza, un difensore della non violenza e della pace, una sentinella contro le ideologie, un uomo di fede per il quale Dio era davvero centro e fulcro della vita.
La sua profetica testimonianza della verità cristiana riposa su una chiara e lungimirante analisi della barbarie del regime nazionalsocialista che disprezza Dio e gli uomini, del suo razzismo, della sua ideologia di guerra e deificazione dello Stato, così come della sua volontà di distruzione della Chiesa e del cristianesimo.
Grazie ad una coscienza formata dalla Parola di Dio e dal magistero della Chiesa, ha pronunciato un no deciso al nazionalsocialismo rifiutando di combattere come soldato nella guerra di Hitler. A impedirgli di piegare il capo come i primi cristiani alla prepotenza pagana dell’imperatore fu la sua fede cristiana, tanto ferma quanto semplice, che lo faceva sentire figlio di Dio e servo di nessuno, per questo libero anche nella feccia della prigionia più disperata.
Lo spettatore è fortemente coinvolto in questo dramma interiore, che sicuramente pone molti interrogativi. Solo nel finale viene palesata la motivazione suprema di Franz, che è la fede nella risurrezione e nella vita eterna e il fatto di non temere chi può distruggere il nostro corpo mortale.
Neanche la morte che si prospetta può separare l’uomo dai suoi legami con le persone che ama, ma soprattutto diventa il momento di passaggio per una perfetta unione con Dio, ricercata per tutta la vita.
Una storia così struggente è accompagnata da una magistrale fotografia ultragrandangolare, tipica di Malick, che permette di immergersi nella distesa di paesaggi montani mozzafiato, ma allo stesso tempo si è profondamente vicini all’animo dei protagonisti, come se potessimo toccare con mano la loro persona e sentire nostre le loro domande e perplessità.
Ma la grande bellezza del film sta nel modo magistrale in cui Malick presenta la vicenda di Franz come incarnazione ed attualizzazione della storia di Cristo stesso, dalla sua passione alla sua resurrezione. Scoprirne i segni, nascosti in filigrana da immagini e parole, è la vera avventura affascinante dello spettatore. Per questo possiamo davvero affermare che questo film è Vangelo puro!
In Franz c’è una serenità, anche se mediata e sofferta, di adesione al pieno significato del messaggio evangelico: in lui la coerenza diventa fattore distintivo, non per preconcetti ideologici o per un astratto pacifismo, ma perché si lascia condurre dalla concreta e vissuta adesione ai valori, ai significati, alle esigenze di ciò in cui crede.
Certamente siamo di fronte ad un’opera degna di memoria, anche per gli anni a venire, mai banale, a volte difficile e impegnativa, rivolta soprattutto ad un pubblico giovane e adulto per la serietà delle tematiche trattate, che ci permette di comprendere il senso della passione di Cristo stesso.
Malick non ricorre a nessuna scorciatoia emotiva, non spreca una parola, un’inquadratura. E riesce nel miracolo di consegnarci un film imperdibile per chi crede che la fede abbia senso se diventa una sola cosa con l’esistenza, il respiro, il battito, l’umanissimo amore.
Quando l’ultima scena è sfumata, ecco infine le parole di George Eliot sui titoli di coda a consegnarci una luce per i nostri giorni che tanto spesso ci sembrano così vani: «Il bene a venire del mondo dipende in parte da azioni di portata non storica; e se le cose per voi e per me non vanno così male, come sarebbe stato possibile, lo dobbiamo in parte a tutti quelli che vissero con fede una vita nascosta, e riposano in tombe che nessuno visita».
Nel 1965 l’arcivescovo Thomas D. Roberts SJ, durante i lavori del Concilio Vaticano II, in una dichiarazione scritta sulla scelta solitaria di coscienza di Franz Jägerstätter, ammonisce: “Martiri come Jägerstätter non devono avere mai la sensazione di essere lasciati soli.“ Neppure al cinema.
don Paolo
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