Maria, la vogliamo sentire così. Di casa. Esperta di tradizioni antiche e di usanze popolari. Che, attraverso le coordinate di due o tre nomi, ricostruisce il quadro delle parentele, e finisce col farti scoprire consanguineo con quasi tutta la città.
Vogliamo vederla così. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che si guadagna il pane come le altre. Che parcheggia la macchina accanto alla nostra. Donna di ogni età: a cui tutte le figlie di Eva, quale che sia la stagione della loro vita, possano sentirsi vicine.
Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei meriggi d’estate viene a casa dalla piscina, in bermuda, bruna di sole e di bellezza, portandosi negli occhi limpidi un frammento di freschezza. E d’inverno, con lo zaino colorato, va all’Argentia anche lei. E fa l’animatrice in Oratorio. E passando per viale Italia, saluta la gente con tenerezza. E ispira in chi la guarda nostalgie di castità. E conversa nel cerchio degli amici, sulla Martesana, la sera. E rende felici gli interlocutori, che la ripagano con sorrisi senza malizia. E va a braccetto con le compagne, e ne ascolta le confidenze segrete, e le sprona ad amare la vita.
Vogliamo darle uno dei nostri cognomi… e pensarla come alunna di un nostro liceo, o come operaia in un ufficio della nostra città, o dattilografa nello studio del commercialista di fronte, o commessa in una boutique di via Cavour.
Vogliamo sperimentarla mentre passa per le strade del centro storico e si ferma a conversare con le donne. O incontrarla al cimitero, la domenica, mentre depone un fiore ai suoi morti. O mentre il lunedì si reca al mercato, e tira sul prezzo anche lei. O quando alle 16.30, con tutte le altre madri davanti alla scuola, attende che il suo bambino esca da scuola per portarselo a casa e ricoprirlo di baci.
Non la vogliamo ospite. Ma concittadina. Interna ai nostri problemi comunitari. Preoccupata per il malessere che scuote l’Italia. Ma contenta anche di condividere la nostra esperienza spirituale, contraddittoria ed esaltante. E gioiosa di appartenere al nostro popolo.
Maria, la vogliamo sentire così. Tutta nostra, ma senza gelosie.
Che a Natale canta la “Santa Allegrezza”, e in Quaresima il Vexilla Regis: con le stesse cadenze delle nostre donne che sfilano in processione recitano la Coroncina.
La vogliamo nelle nostre liste anagrafiche. Nei sogni festivi e nelle asprezze feriali. Sempre pronta a darci una mano. A contagiarci della sua speranza. A farci sentire, con la sua struggente purezza, il bisogno di Dio. E a spartire con noi momenti di festa e di lacrime. Fatiche di licenziamenti e bollette da pagare. Profumi di forno e di bucato. Lacrime di partenze e di arrivi.
Come una vicina di casa, dei tempi antichi. O come dolcissima inquilina che si affaccia sul pianerottolo del nostro condominio. O come splendida creatura che ha il domicilio sotto il nostro stesso numero civico. E riempie di luce tutto il cortile.
Liberamente tratta da:
Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni
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