Ha scritto Papa Francesco nell’esortazione apostolica Christus vivit:
“Guarda la sua Croce, aggrappati a Lui, lasciati salvare, perché coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. E se pecchi e ti allontani, Egli di nuovo ti rialza con il potere della sua Croce. Non dimenticare mai che Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia”.
L’incontro col Signore è sempre incontro con la Sua misericordia, col Suo Amore. Quell’amore che si è rivelato in maniera definitiva nella Sua Pasqua.
Da quel momento ci è stata rivelata la nostra identità: siamo dei salvati, siamo amati! Noi siamo salvati da Gesù: perché ci ama e non può farne a meno. Possiamo fargli qualunque cosa, diceva ai giovani Papa Francesco, ma Lui ci ama e ci salva. E scrive la sua storia d’amore con noi attraverso le nostre fragilità e meschinità.
Il Suo amore arriva “fino alla fine” e non si stanca di rinnovarci il suo perdono.
Vorremmo Nel nostro cammino pastorale incontrare questo cuore, il centro dell’esperienza della fede, cui poi sempre ritornare come il “primo annuncio”, ciò da cui tutto ha inizio.
E questa non è solo esperienza spirituale, né tantomeno intimista: è vita autentica che cambia la storia.
Come sottolineavamo nel numero precedente del Notiziario, in questo cambiamento d’epoca cui stiamo assistendo, non può non presentarsi la domanda: come può incarnarsi il cristianesimo? Come è possibile vivere da cristiani in questo tempo? Cosa vuol dire essere testimoni nel mondo di questo amore e cosa significa “evangelizzare” la nostra società?
Certamente occorre avere uno sguardo diverso, meno angusto e provinciale, ritrovando il Vangelo autentico, al di là delle sue incrostazioni e riduzioni culturali e sociali.
Diceva ad un gruppo di pellegrini a Gerusalemme Monsignor Pierbattista Pizzaballa:
C’è la tendenza, soprattutto in Europa – altrove è un po’ diverso – d’identificare la nostra fede con un sistema culturale o sociale. Ora, anche se tutto intorno a me, la maggioranza, non è cristiana, le ragioni della mia fede non vengono meno. Io sono chiamato a vivere la mia fede a prescindere da tutto questo. Gesù è morto sulla croce gratuitamente. La gratuità deve essere ciò che mi caratterizza. Il cristiano è non violento. Il cristiano propone, non impone. Si presenta, testimonia, vive innanzitutto la sua fede, l’annuncia con la vita. La redenzione che raggiunge tutto il mondo è innanzitutto la mia esperienza: io sono stato redento, sono stato salvato e vivo questa salvezza con gratuità facendo tutto quello che posso perché gratuitamente sono stato salvato. Non devo conquistare, devo attrarre. Poi il resto lo fa il Signore.
Se c’è una cosa che è chiara, qui in Medio Oriente e in Terra santa in particolare, è che noi cristiani siamo sempre stati in minoranza. Gli unici momenti in cui siamo stati la maggioranza sono stati problematici: bizantini e crociati. Per il resto siamo stati sempre in minoranza. A volte ben tollerata, a volte mal tollerata, a volte perseguitata.
Non significa semplicemente che vogliamo scomparire. Al contrario! Il cristianesimo nei primi secoli è stato perseguitato, ma è cresciuto. Il cristianesimo, non la cristianità. Sono due cose diverse. Oggi sta scomparendo forse la cristianità,
non il cristianesimo. Sta scomparendo un modello di vita sociale cristiana, ma non la fede cristiana. Per me questo è chiaro qui. Nella società qui è tutto fuorché cristiano: o ebrei o musulmani. Contiamo come il due di coppe quando la briscola è denari. Però la testimonianza cristiana non è scomparsa, non è finita. Non è che non abbiamo più niente da dire.
Dobbiamo allora riscoprire questo cuore, questo “unicum”, questo “magis” del cristianesimo.
È ritrovare le ragioni profonde della fede cristiana.È lasciarsi toccare da Colui che è “il vivente”, non “il sepolto”; Colui che è con noi “tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), non un antico personaggio del passato.
È fare esperienza di un amore che ci ha storicamente incontrato e continua ad incontrarci.
È incontrarlo non in un’idea o una Legge, ma nell’esperienza viva di una Chiesa unita, libera, lieta.È incontrare il cristianesimo, non la cristianità.
Questo è il cammino ecclesiale che ci attende nel prossimo anno pastorale, per lasciarci incontrare ed amare ancora una volta da Cristo.
don Paolo
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