C’è un punto di non ritorno, che è stato sancito dal Concilio Vativano II: il passaggio da una visione di Chiesa piramidale, societas perfecta, mutuata dal Concilio di Trento, ad una visione di Chiesa comunionale.
Questo passaggio dopo più di 50 anni, ancora non è stato pienamente compiuto, e richiede da un lato di ripensare la chiesa a partire dalla Trinità, con una visione Trinitaria a livello orizzontale (sociale) e non solo verticale, e dall’altro di superare un’equiparazione della comunione con il sistema politico democratico.
Lo stile di questa visione di Chiesa, icona della Trinità, è quello della sinodalità, del camminare insieme, nel discernimento di ciò che lo Spirito ci chiede e sapendo comprendere ciò che Lui sta già operando nel mondo.
In questa logica non possiamo più dire che “siamo nella Chiesa”, come una realtà che sta al di fuori di noi, come un’istituzione appartenente al mondo ecclesiastico, ma che “siamo Chiesa”, popolo di Dio in cammino nella storia, “cum Petrum e sub Petrum”.
NODI. Si tratta ora di portare avanti questa novità, affrontando alcuni NODI che si impongono a noi in maniera decisiva e drammatica in questo cambiamento d’epoca.
Ne accenno alcuni sui quali, nel corso del cammino pastorale che ci aspetta, dovremo lavorare e riflettere insieme.
Primo nodo: la relazione tra il clero e i laici.
Da un lato sentiamo come indispensabile il superamento del clericalismo, dall’altro avvertiamo necessaria una corresponsabilità laicale. Come tenere insieme, in una logica comunionale, questi due binomi, senza cadere nell’autoritarismo o nel democraticismo nella Chiesa?
Secondo nodo: la relazione tra centro e periferia.
Se da un lato è necessario avere un rapporto con il “centro”, con Pietro, dall’altro è un segno dei tempi l’ascolto delle periferie esistenziali. Come far sì che la Chiesa sia “ospedale da campo” senza ridursi ad una organizzazione filantropica?
Terzo nodo: la relazione Chiesa-mondo.
Da un lato esiste ancora la tendenza a identificare cristianesimo e cristianità, col rischio di operare un integralismo o un collateralismo politico; dall’altro una sana laicità rischia di trasformarsi in laicismo, escludendo ogni riferimento ai valori cristiani nel suo darsi a livello sociale. Come ripensare in modo evangelico l’essere nel mondo, e non del mondo, da parte della Chiesa?
Quarto nodo: la relazione tra unità e diversità.
È necessario che l’unità non coincida con l’uniformità, ma come fare in modo che il dialogo con tutti, l’incontro con altre religioni e convinzioni differenti, non conduca a rinunciare alla propria identità o all’indifferentismo? È possibile tenere insieme dialogo, identità, pluriformità e unità?
Quinto nodo: la relazione tra tradizione e segni dei tempi.
Se è vero che non si deve dire “si è sempre fatto così”, finendo per “ingessare ed ingabbiare” la novità dello Spirito, come discernere se quanto c’è di nuovo nei segni dei tempi è secondo l’azione dello stesso Spirito, o è opera del male e del Principe di questo mondo? Come garantire il primato dello Spirito Santo nel discernimento tra tradizionalisti e progressisti?
ATTITUDINI. Questi nodi andranno tradotti all’interno del nostro contesto comunitario, ma nel contempo chiedono a noi alcune ATTITUDINI evangeliche di fondo che sono imprescindibili: l’amore verso tutti; riconoscere Gesù crocifisso nelle situazioni di difficoltà e conflitto; la capacità di donare la propria vita e le proprie idee, nella libertà, con franchezza e senza ipocrisia, uscendo da sé nell’incontro con l’altro.
Il Signore ci assista e ci guidi in questo cammino sinodale!
don Paolo
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