Uniti in una sinfonia di diversità

Quello appena inaugurato in Vaticano è l’avvenimento ecclesiale più importante dopo il Concilio Vaticano II. Per la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa un Sinodo è chiamato a coinvolgere tutto il Popolo di Dio.
“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” è il titolo e, come dice papa Francesco, «proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».

Fare Sinodo significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme. Si tratta quindi di camminare verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare. Essere un popolo di Dio in cammino, una sinfonia di diversità che però convergono nell’unità per servire il mondo. Perché a questo siamo chiamati: all’unità, alla comunione, alla fraternità che nasce dal sentirci abbracciati dall’unico amore di Dio.

Questo sinodo si interrogherà perciò sull’identità più profonda della Chiesa, perché la Chiesa è tale solo quando è portata sulle proprie spalle da tutti ed è condivisa nel proprio cuore da tutti, a servizio dei fratelli, a cominciare dagli ultimi, dagli scartati e dalle periferie esistenziali e spirituali del nostro tempo.

«Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa», diceva Yves Congar, uno dei padri del Concilio Vaticano II: una Chiesa aperta alla novità che Dio le vuole suggerire. Occorrerà quindi trovare i modi per impegnarci con estrema responsabilità, perché nessuno stia a guardare dalla finestra e perché non sia un’occasione persa.

Nel grande messaggio inaugurale di questo percorso papa Francesco ha messo in guardia da tre rischi che possono riguardare il Sinodo.
Anzitutto il formalismo, riducendolo a un evento straordinario, ma di facciata, proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una chiesa senza mai mettervi piede dentro. Perché a volte c’è qualche elitismo nell’ordine presbiterale che lo fa staccare dai laici; e il prete diventa alla fine il “padrone della baracca” e non il pastore di tutta una Chiesa che sta andando avanti. Ciò richiede di trasformare certe visioni verticiste, distorte e parziali sulla Chiesa.

Esiste poi il pericolo dell’intellettualismo, come quando la realtà va da una parte e noi con le nostre riflessioni andiamo da un’altra parte. Ci si “parla addosso”, finendo per ricadere nelle solite sterili classificazioni ideologiche e partitiche e staccandosi dalla realtà del Popolo santo di Dio.

E infine l’immobilismo, quando si adottano soluzioni vecchie per problemi nuovi: un rattoppo di stoffa grezza, che alla fine crea uno strappo peggiore (cfr Mt 9,16).

Per questo è importante che il Sinodo sia veramente tale, un processo in divenire; coinvolga, in fasi diverse e a partire dal basso, le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione.

Il papa ci punge tutti con una domanda: “noi, comunità cristiana, incarniamo lo stile di Dio, che cammina nella storia e condivide le vicende dell’umanità? Siamo disposti all’avventura del cammino o, timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle scuse del “non serve” o del “si è sempre fatto così”?”

Oltre ai rischi, il papa intravede anche delle preziose opportunità.
La prima è quella di incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale, imparando a pensarci non come singoli, ma anzitutto come popolo, come famiglia.
Il Sinodo offre poi l’occasione di diventare Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare. Ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera. Ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali.
Infine, abbiamo l’opportunità di diventare una Chiesa della vicinanza. Torniamo sempre allo stile di Dio: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio sempre ha operato così. E questo non solo a parole, ma con la presenza, così che si stabiliscano maggiori legami di amicizia con la società e il mondo. Per questo occorrerà riconoscere e apprezzare anche la ricchezza e varietà dei doni e dei carismi che lo Spirito elargisce in libertà, per il bene della comunità e in favore dell’intera famiglia umana.

Per cominciare bene insieme, possiamo fare nostre alcune parole della preghiera che ha concluso il momento di riflessione iniziale del Sinodo: “Vieni Spirito Santo! Preservaci dal diventare una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire. Vieni, Spirito di santità, rinnova il santo Popolo fedele di Dio. Vieni, Spirito creatore, fai nuova la faccia della terra. Amen”.

Don Carlo

COMMENTS