L’altro volto della libertà: la responsabilità come attitudine a non voltare la faccia, risposta che sola è il vero potere dell’uomo.
C’è una storia nota a molti che racconta di una città incendiata e distrutta dalla guerra, e di un gruppo di uomini in fuga che cercano di salvarsi mettendosi in mare. Giunti al canale di Sicilia, sono diretti in Italia ma, scampati miracolosamente alla furia delle onde, alcuni finiscono sulle coste di Cartagine, nei pressi dell’odierna Tunisia. Li’ vi regna Didone e la città appena fondata,
Cartagine appunto, è ancora in costruzione.
I cartaginesi, alla visione di quei naufraghi, li vogliono ributtare in mare, ne hanno paura, temono siano nemici in cerca di conquiste. Nel momento stesso in cui nasce l’equivoco, il capo dei naufraghi pronuncia questo discorso: “Ma che gente è la tua? Che barbaro costume ci impedisce di scendere a terra e di fermarci sulla spiaggia? Perché farci guerra? Se avete in poco conto il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei che ricordano e giudicano il bene e il male.”
Diamo un nome a questa storia e ai suoi personaggi: è il capolavoro dell’Eneide di Virgilio che, nel primo libro, racconta della distruzione di Troia e del bellissimo discorso che Ilioneo pronuncia a Didone: “che stirpe di uomini è mai questa? Quale mai tanto barbara patria
permette questi usi? Ci nega accoglienza in riva, viene ad aggredirci, ci scaccia al margine estremo del lido“.
Le parole degli antichi sono chiare: chi rigetta in mare dei naufraghi appartiene ad una stirpe non degna di definirsi civile.
La potenza di quest’opera letteraria sta nella suacapacità di filtrare visioni di mondo, sentimenti, atteggiamenti che fanno parte della nostra cultura. Basta davvero poco per riconoscere che quel testo scritto e letto da più di 2000 anni è si’ un capolavoro poetico, ma è anche un poema modernissimo e quasi una testimonianza di cronaca, ….. infatti ……in quello stesso “Mare nostrum” nella notte del 3 ottobre 2013, al largo dell’isola dei Conigli, un’imbarcazione si rovescia. Porta un carico di circa 600 persone, quasi tutti di origine eritrea, che fuggono dalla povertà, dalla fame, da un mondo privo di speranze. Vengono recuperati 366 cadaveri. Le vittime dei barconi non sono certo una novità ma quel disastro ha scosso molte coscienze, tra esse quella di Cristina Cattaneo.
Due storie, due eventi, così lontani e così vicini, uno è un fatto antico e leggendario, l’altro è un fatto realmente accaduto ed attuale: mai così simili, mai così evocativi!
E c’è una terza storia che va raccontata, la storia di un gesto, di un’attitudine o di un modo d’essere che due donne decidono di compiere: quello di Didone che accoglie Ilioneo e quello di Cristina Cattaneo e del suo naufragio CON spettatore.
Se Didone, di fronte alla catastrofe del naufragio, si scuserà con Ilioneo per averlo scambiato per un nemico e accoglierà i profughi senza fare alcuna distinzione tra i Tiri (cioè i cartaginesi) e i Troiani, scegliendo di aprirsi all’altro e di averne fiducia, Cristina Cattaneo con una precisa postura (che è anche una prospettiva ermeneutica) vede il dramma del 3 ottobre 2013, ne è spettatrice, sceglie di guardare, sceglie di non essere indifferente, sceglie l’altro. E’ come se fosse presente sulla riva e la cifra della sua decisione sta proprio nel suo sguardo che non è ancorato alla terra, non si affianca al “noi” di coloro che da tempo si sono stanziati sulla riva, rivendicandone la proprietà, ma guarda verso il mare regalando una prospettiva che, dall’interno di un senso di comunità più ampio, si apre all’altro.
Cristina Cattaneo mostra così l’altro volto della libertà cioè la responsabilità ossia un’attitudine a rispondere, a non voltare la faccia, quasi una scelta di vita, una presa di consapevolezza di ogni situazione particolare cui segue immediata e irriflessa, limpida, sicura e adamantina una risposta d’azione accorta, risposta che sola è il vero potere dell’uomo.
Ciò che provoca ancora di più nel gesto della Dottoressa Cattaneo risiede nell’ “altro”.
Nell’esperienza della Cattaneo non c’è un Ilioneo che urla il diritto alla vita per se e i suoi compagni, c’è un “altro” privo di vita, un “altro” inanimato, un “altro” che non c’è più, un nessuno, un corpo che è oggetto tra i tanti oggetti che il mare restituisce alla terra, tanti morti di cui il Mare nostrum è campo santo.
Attraverso il suo lavoro, la dottoressa dà voce e nome alle tante storie di libertà che attraversano il nostro mare restituendo dignità anche a quell’essere umano che, non essendo più in vita, è formalmente privo di riconoscimento giuridico, al dunque parrebbe insensato battersi per un
qualsiasi suo diritto. E invece la Dottoressa Cattaneo restituisce a quel corpo un diritto negato, e nello stesso spirito di Ilioneo all’umanità richiama il diritto ad avere diritti!
Mercoledì 30 marzo alle 21.00 in Sala Argentia, invitiamo perciò tutti all’incontro con la dottoressa Cattaneo nel nostro cammino di dialogo con la città.
Ingresso a offerta libera
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