È tanta la gente che mi ferma per strada in questi giorni per ringraziare del ritiro di Domenica scorsa.
Davvero, attraverso la toccante e bellissima testimonianza di don Claudio Burgio, la Messa animata e vissuta in un clima “speciale” e l’artistico spettacolo su Charles de Foucauld del pomeriggio, abbiamo compreso e sperimentato cosa voglia dire “fare della vita un amore”.
Quanto avrei voluto che tutti sentissero quelle parole e gustassero quei sentimenti!
Per tanti è stato un momento di consolazione profonda, per altri una sana messa in crisi, per tutti l’occasione per una nuova conversione.
Potremmo dire che, per chi ha partecipato, la vita ha un colore e un gusto nuovo: tutto acquista sapore. Il “fermarsi a contemplare”, come scrivevo sullo scorso numero del Notiziario, ci ha permesso di ritrovare “la dimensione contemplativa nella vita”.
Resta un rammarico: ma davvero solo 150 persone potevano essere libere dalle 9.00 alle 11.00 di una domenica mattina per fare un momento di sosta?
Vengono alla mente le parole di Gesù:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!” (Lc 7,32).
Ma non sono il risentimento o la delusione ciò che vorrei esprimere: sarebbero sentimenti non evangelici e contrari a quanto abbiamo vissuto Domenica scorsa!
E non si tratta neppure di ritenere che un cristiano si misuri dalla partecipazione ai momenti comunitari promossi dalla Parrocchia!
Ciò che mi sta a cuore, a partire da questa semplice esperienza, è una riflessione su ciò che ci sta accadendo in questo tempo che trascorre tra una crisi e l’altra: la crisi della pandemia, quella economica, la guerra, gli aumenti delle bollette, l’inflazione galoppante… Ebbene: come entriamo e usciamo da queste “crisi”? Non basta “superarle” fisicamente, quasi fossero una sorta di corso di sopravvivenza…
Sentiamo sì il bisogno di riunirci per momenti spensierati e sereni (ne abbiamo tutti bisogno in questo tempo di guerra), ma facciamo fatica ad uscire per pensare e riflettere.
D’altra parte, però, credo che proprio per “stare bene” abbiamo bisogno di ritrovare il senso di ciò che stiamo vivendo, l’aiuto a cogliere verso quale direzione vivere oggi la vita, con le sue gioie e i suoi dolori. “La sonnolenza dell’indolente non è a causa di scarso impegno, ma il suo torpore è l’effetto di un sentimento di tristezza per assenza di motivazioni degne nei confronti della vita stessa: perché alzarsi dal letto se non ne vale la pena?” (G. Pagazzi).
Proprio queste esperienze, invece, ci aiutano ad incontrare l’entusiasmo di un Dio che ci dice che ne vale la pena: vale la pena l’essersi fatto uomo, l’incarnazione e la croce.
Vale la pena fare della vita un amore!
Ci insegnano che la vita non è una fregatura, ma che abbiamo dentro di noi una sorgente da dissotterrare e dalla quale attingere nuova linfa vitale. A questa sorgente gli incontri come quello di Domenica scorsa ci conducono.
Valgono anche in questo tempo le parole del profeta: “Non lasciarti cadere le braccia!”.
Abbiamo bisogno tutti di sentircele dire, di ritrovare la forza di stare dentro la croce del tempo presente sapendola vivere non con rassegnazione e disperazione, ma con fiducia e speranza.
Abbiamo bisogno di ascoltare parole vere in mezzo alle parole vuote e ai discorsi falsi che ci seducono da ogni parte (mi vengono in mente anche pseudo messaggi religiosi farneticanti contro il Papa, che in questi giorni sono stati recapitati in chiesa…) facendo perdere ad alcuni il giusto orientamento.
Certo, ogni occasione persa è persa, ma non possiamo e non dobbiamo rinunciare a continuare a proporre esperienze di qualità che toccano il cuore e fanno gustare il respiro della vita.
Solo facendo così potremo “fare della vita un amore”
don Paolo
COMMENTS