In questi giorni è complicato anche solo discutere di quanto sta accadendo in Israele. Ogni commento, peggio se viene pubblicato sui social, diventa occasione di divisione: chiunque esprima un giudizio, immediatamente viene “arruolato” tra i sostenitori di una parte o dell’altra.
Condivido quanto ha scritto in questi giorni Fabio Pizzul:
“Affermare che Israele ha il diritto di difendersi diventa come auspicare la distruzione totale della striscia di Gaza e con essa dei suoi abitanti. Sostenere che i palestinesi devono poter essere tutelati dagli attacchi aerei e dai bombardamenti si trasforma in una giustificazione di quanto fatto da Hamas. Il clima di guerra si è diffuso anche nei dibattiti virtuali e reali: tentare di ragionare su quanto sta accadendo e ricostruire la storia di quella terra martoriata e di due popoli che da decenni si fronteggiano senza pace sembra essere vietato dalla necessità di dire subito da che parte si sta, senza tentennamenti”.
Eppure è importante capire come stanno le cose.
Diciamo con fermezza che l’eccidio perpetrato da Hamas contro la popolazione inerme israeliana non può avere alcun tipo di giustificazione (neppure nella cosiddetta “questione palestinese”) e le azioni terroristiche che ha fatto sono al di fuori di ogni rispetto non di regole politiche, ma della dignità dell’essere umano.
E non rappresenta la “causa palestinese”, né può essere assunto come emblema del desiderio di libertà per un popolo “oppresso”: Hamas vuole solo la distruzione di Israele e il massacro di ogni ebreo.
Occorre ricordare che quando si parla di “palestinesi” si parla di una realtà complessa: ci sono i palestinesi che dal ’48 hanno accettato di vivere all’interno dello stato d’Israele (sono arabi con cittadinanza israeliana, che partecipano alle elezioni e hanno un loro partito politico presente in parlamento); ci sono i palestinesi che hanno rifiutato di abitare in Israele e da settant’anni vivono nei campi profughi in Giordania, Libano, Gaza e Palestina (che in questi anni hanno visto crescere sempre di più al loro interno gruppi estremisti) ; ci sono i palestinesi che vivono nelle aree sotto l’autorità palestinese, secondo gli accordi di Oslo del 1994 (che a causa del mancato rispetto di questi accordi da parte di Israele iniziano a dubitare della fattibilità di una soluzione pacifica); ci sono i palestinesi fondamentalisti armati come Hamas e la Jihad islamica (che rifiutano l’esistenza stessa di Israele).
E spesso la religione viene assunta dai vari fondamentalismi come pretesto di scontro e di lotta.
Ma occorre anche riconoscere che, come diceva il cardinal Martini, “un fiume di sangue nasce da un torrente di fango”.
Israele, dopo averli firmati, non ha attuato pienamente gli accordi di pace di Oslo. E in questo momento al governo (democraticamente eletto dopo estenuanti elezioni senza esito) vi è l’estrema destra dei Coloni, i quali a loro volta non vogliono l’esistenza di uno stato Palestinese, rifiutano gli accordi di Oslo, con 279 insediamenti abusivi e negli ultimi anni hanno fatto continui atti di sopruso contro la popolazione palestinese in Cisgiordania (io stesso, coi giovani che erano con me in Terra Santa questa estate, ne siamo stati testimoni e vittime).
Ma la “questione palestinese” non può giustificare quanto fatto da Hamas, così come questo stesso eccidio non può essere la giustificazione dell’uccisione di migliaia di persone nella striscia di Gaza, viste solo come “effetti collaterali”.
Silvano Petrosino, docente dell’Università Cattolica, ha scritto: “La vendetta è oggi assunta come sinonimo di giustizia: voglio giustizia=voglio vendetta. Ma dobbiamo dichiarare con forza che non è possibile identificare giustizia e vendetta”.
Anche in matematica -1 + -1 fa -2 e non 0!
Diceva il Cardinal Martini: “Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o poi tende a eliminare e distruggere I‘altro e alla fine distrugge se stesso”.
Scrive ancora Pizzul: “Difficile, però, chiedere lucidità e lungimiranza a uno stato che ha subito uno dei più grandi shock della sua storia, vieppiù quando l’unico linguaggio sembra essere, non solo in Israele, quello dell’odio, della violenza e della vendetta”.
Per questo la politica internazionale e l’ONU deve farsi carico della “questione palestinese”: purtroppo, però, paghiamo l’assenza di personalità di valore e la logica che in questi anni ha mosso la politica delle nazioni è stata solo quella angusta del proprio interesse.
In un clima di questo genere, anche da noi in Italia, prosperano populismi e fondamentalismi di ogni genere, l’esatto contrario di ciò che servirebbe per identificare vie d’uscita dall’odio e dalla guerra.
Populismi e fondamentalismi che si alimentano sulla paura del diverso da sé, e giustificano l’odio.
Per questo occorre cambiare anche da parte nostra uno stile ed una mentalità completamente sbagliate.
Ancora una volta ci accorgiamo (come accaduto per la guerra in Ucraina) che la vita umana è «seconda» rispetto alle questioni di “principio” (l’integrità territoriale, la democrazia, eccetera): è ciò che sta alla radice di ogni fondamentalismo, come scriveva Massimo Recalcati.
Per questo occorre ribadire ciò che diceva Kant: “L’uomo non è mai un mezzo, ma è sempre un fine”.
Ma oggi, secondo la “cultura dello scarto” che impera anche nei paesi occidentali, la vita umana è considerata come quella di un animale (“siamo solo come le formiche e i passeri” diceva Eugenio Scalfari), e si giustificano gli eccidi cui abbiamo assistito, assistiamo e (purtroppo) assisteremo, in nome di una “giusta causa”.
Ma Gesù ci ricorda che “valiamo più di molti passeri” e che nessuna causa, neppure la più giusta, può giustificare l’uccisione di una persona, perché ogni uomo (ogni uomo: di qualsiasi etnia, religione, politica, nazione e cultura…) è mio fratello, figlio di Dio come noi.
E che occorre amare il popolo e la patria altrui come la propria. Amare perfino il nemico.
Già, ma noi cristiani, che cosa ne abbiamo fatto del Vangelo? Lo abbiamo sacrificato sull’altare delle ragioni politiche, della giustizia/vendetta, degli interessi di parte, dell’essere “al passo coi tempi”…?
Che quanto sta accadendo ci smuova in un sussulto di umanità vera. E ci converta il cuore e la mente, muovendoci verso quella “preghiera di intercessione” (con le braccia stese tra i due contendenti, come Cristo in croce) che sola può favorire processi di pace.
dP
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