LO STILE DELLA SINODALITÀ: FERMARSI
Sono tante le questioni che attraversano il dibattito interno ed esterno della nostra Comunità, e della Chiesa, in questo periodo. Ho trovato alcuni spunti interessanti che vorrei rilanciare per poter procedere in forma sinodale, camminando insieme, per attraversare in unità col Papa e in ascolto dello Spirito Santo questo tempo.
Scriveva una ragazza brasiliana, Mariane, responsabile di un movimento cattolico giovanile: “Sentiamo il bisogno di leggere gli avvenimenti della nostra storia – spesso indecifrabile, frammentata – non usando solo la nostra capacità di analisi, fatta con intelligenza o buona volontà; ma soprattutto lasciandoci guidare nell’unità col Papa dallo spirito di Gesù in mezzo a noi. Quindi un’esperienza di incontro personale con Lui vivo tra noi, che ci permetta di recuperare forze, visione, prospettiva. Ma anche un lasciarsi guidare da Lui per riscoprire i Suoi richiami in quello che viviamo per convertici”.
E un altro, Osvaldo, impegnato in un’associazione culturale, diceva:
“La situazione della pandemia che ci pesa e che ha trasformato il nostro modo di incontrarci; il dolore delle vittime di abusi che ci arriva in un modo o nell’altro; i dubbi sulla nostra sostenibilità; la difficoltà ad aiutare persone e popoli con sofferenze e violenze inenarrabili, ci potrebbero far pensare che non siamo capaci, che la sfida è troppo grande per le nostre forze”.
Per questo è necessario fermarci, dialogare, confrontarci, comprenderci reciprocamente.
Fermarsi è non continuare a camminare senza guardare le ferite; fermarsi è chiederci perché ci polarizziamo; domandarci se veramente tra di noi c’è uno spazio per chi pensa diversamente. È anche ricordare quanti sono andati via perché non trovavano il loro posto, perché si sentivano esclusi. Fermarsi è rivedere come abbiamo mantenuto i rapporti; fermarsi è lasciarsi ferire da queste domande, dalla nostra storia incompiuta. Fermarsi è guardare in faccia quelle cose che non riusciamo ancora a fare bene, o non sappiamo fare meglio. E fermarci è anche lasciare spazio alla speranza e riconoscere tutto il bene che la Chiesa sta facendo; non è cadere in un pessimismo paralizzante, è saper guardare il mondo con occhi nuovi ed è soprattutto guardare insieme, non solo indietro, ma anche in avanti.
Occorre fermarsi personalmente e comunitariamente, per comprendere cosa serve veramente fare, cosa significa stare di fronte alle sfide della sostenibilità economica, del fenomeno della polarizzazione, dell’accoglienza, della tolleranza, della diversità. Siamo capaci di dialogare, porci in ascolto, metterci in posizione d’imparare? Sappiamo fermarci per riconoscere le ferite intorno a noi, assumerle, curarle?
È importante fermarci e guardare insieme da quali priorità partire, sapendo ascoltare le ferite che ci sono dentro, e quelle che abbiamo attorno.
Fermarci per imparare sempre, anche dai nostri errori, ad essere fratelli e sorelle di tutti. Anche di chi non la pensa come noi. Anche dei non credenti. Il nostro cuore deve essere quello di un padre e di una madre che accoglie sempre il figlio e gli vuole bene, al di là delle idee che possono essere diverse. Non si deve mai smettere di amare, per nessun motivo. E nessuno escludere dal nostro amore.
dp
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