Ci sono, ma servo?
Liberi di farla finita?
Se tutti conosciamo il processo di Norimberga come fondamentale momento di verifica della cultura occidentale, durante il quale il male viene messo sotto accusa, portando alla sbarra i principali esponenti nazisti, forse meno noto è il Codice di Norimberga che, per la prima volta, costringe l’Occidente a raccogliersi, in modo collettivo, intorno ad una questione fondamentale circa la possibilità della scienza e della medicina di disporre del corpo umano, sottoposto nei lager, a sperimentazioni brutali e prive di ogni fondamento etico.
Da quel Codice sono nati un diritto, che oggi ci pare scontato, il consenso informato del paziente e la conseguente condizione dell’uomo di poter esercitare un libero potere decisionale su di sé e sulla propria vita. Oggi è la bioetica a porre sotto la lente di ingrandimento la questione del corpo e dello statuto della relazione che ciascun individuo intrattiene con il suo corpo.
Il diritto contemporaneo non riesce a pronunciare la parola definitiva a questo proposito e ciò significa che, tutt’oggi, numerosi problemi legati al corpo e come disporne, faticano a trovare soluzione.
Il corpo ha lo stesso statuto di una persona o il corpo è un oggetto fra gli altri? Se il corpo è indisponibile, “fuori commercio”, inalienabile perché ha un carattere sacro, allora, perché ammettere i prelievi di organi e l’utilizzazione di parti del corpo e quindi riconoscere la possibilità di disporre del proprio corpo?
Si può disporre solo di parti del corpo o della sua totalità? Ed è un diritto appropriarsi della propria morte? Il diritto di morire: diritto di porre fine ai propri giorni, diritto di morire con dignità, diritto ad un’assistenza medica alla morte. Che cosa si intende con diritto di morire? C’è differenza tra lasciar morire e dare la morte?
A guidarci in questa intricata questione è il professor Alessio Musìo, esperto di bioetica e docente di filosofia morale presso l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
All’argomento ci si deve accostare con un profondo senso di ascolto, senza pregiudizi e preconcetti, perché non ci si inoltra nella generica domanda su cosa siano la vita e la morte, ma su quanto io stesso debbo considerare per la mia stessa vita e dei miei cari.
Scrive Hans Jonas: “Che la vita sia mortale rappresenta, certo, la sua principale contraddizione, ma fa parte indissociabilmente della sua essenza, al punto che non la si può immaginare altrimenti. E la vita è mortale non “benché” sia la vita, ma proprio “perché” è la vita, secondo la sua costituzione più originale”.
Mercoledì 23 marzo alle 21.00 in Sala Argentia, invitiamo perciò tutti ad una serata da non perdere, un momento importante nel nostro cammino di dialogo con la città.
Ingresso a offerta libera
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