Fratello universale

Domenica scorsa è stato dichiarato santo Charles de Focauld.
Tra i modelli presentati da papa Francesco nella recente enciclica Fratelli tutti c’è anche Charles de Foucauld.
A conclusione del testo, infatti, lo presenta come «fratello universale»: «Voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al beato Charles de Foucauld. Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. Voleva essere, in definitiva, “il fratello universale”. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò a essere fratello di tutti».

Charles de Foucauld (Fratel Carlo di Gesù) nasce a Strasburgo, in Francia, il 15 settembre 1858. A soli 6 anni perde entrambi i genitori. Perde la fede e s’immerge in una vita mondana gaudente e di disordine che però lo lascia insoddisfatto. Entra nella Scuola militare di Saint-Cyr, ma si annoia infinitamente. Conosciuto come amante del piacere e della vita facile, viene cacciato dall’esercito per cattiva condotta. Nel 1882 si dimette dall’esercito e intraprende una pericolosa esplorazione in Marocco con l’aiuto del rabbino Mardocheo, e per questo otterrà una medaglia d’oro dalla Società di geografia di Parigi.

La scoperta della fede musulmana, la ricerca interiore della verità, la bontà e la testimonianza di fede cristiana della cugina Marie de Bondy gli faranno riscoprire la fede cristiana.

Cerca di conoscere Dio ripetendo una strana invocazione: “Mio Dio, se esisti, fa’ che ti conosca”. A fine ottobre 1886, a Parigi incontra l’abbé Henry Huvelin nella chiesa di Sant’Agostino, e la sua vita cambia radicalmente. «Non appena credetti che c’era un Dio, ho capito che non potevo far altro che vivere per Lui solo» Ha 28 anni.

Conquistato dall’idea di abbandonarsi a Dio realizzando sempre la sua volontà, fratel Carlo proverà vari itinerari di santità, come un viaggiatore nel buio della notte, alla costante ricerca della sua vera vocazione: dalla Trappa alla vita nascosta a Nazareth, dal sacerdozio alla vita eremitica nel deserto del Sahara.

In un pellegrinaggio in Terra Santa, Charles approfondisce la sua chiamata: seguire e imitare Gesù nella vita nascosta di Nazareth, perché «l’amore ha per primo effetto l’imitazione».

Comprende però che fare la volontà di Dio vuol dire: «Essere dove Dio ci vuole, fare ciò che Dio vuole da noi, nello stato dove lui ci chiama; pensare, parlare, agire come Gesù avrebbe pensato, parlato, agito, se il Padre suo lo avesse messo in quel particolare stato». Viene ordinato sacerdote a 43 anni (1901) in Francia. Gli viene dato il permesso di abitare nel Sahara. «I miei ritiri di diaconato e di sacerdozio mi hanno mostrato che questa vita di Nazareth, che mi sembrava essere la mia vocazione, bisognava viverla non in Terra Santa, tanto amata, ma tra le anime le più ammalate, le pecore le più abbandonate».

Viene inviato solitario in Algeria, allora colonia francese, mettendosi al servizio del prefetto apostolico del Sahara. Lì cercherà di portare a Cristo tutti gli uomini che incontra «non con le parole, ma con la presenza del Ss. Sacramento e la carità, una carità fraterna e universale, condividendo fino all’ultimo boccone di pane con ogni povero, ogni ospite, ogni sconosciuto che si presenti e ricevendo ogni uomo come un fratello benamato».

Il sogno di fratel Carlo è proprio quello di una fratellanza universale: «Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani e ebrei e idolatri a guardarmi come loro fratello – il fratello universale. ». «Gridare il Vangelo con la vita», per Charles de Foucauld significa imitare Gesù, testimoniandolo nella quotidianità con la propria esistenza.

«Senza predicare, bensì imparando la lingua della gente, conversando con loro, stabilendo rapporti di amicizia». Convinto del fatto che «la parola è molto, ma l’esempio, l’amore, la preghiera sono mille volte di più»: il suo intento è di fraternizzare, fare crollare muri di pregiudizi e avere relazioni affettuose con i tuareg.

«Vorrei essere buono perché si possa dire: “Se tale è il servo, come sarà il Maestro?”». Gli uomini del deserto lo accolgono per la mitezza del carattere e la mansuetudine del comportamento. Per lui «gli uomini non sono più soltanto i nostri fratelli, essi sono Gesù stesso».

Al medico protestante Dautheville che nel 1908 gli chiede cosa fa per convertire i Tuareg, risponde: «Io non cerco di convertirli, cerco di migliorarli; voi siete protestante, un altro può essere non credente, loro sono musulmani. Sono convinto che un giorno ci ritroveremo tutti in Paradiso, ma perché ciò avvenga dobbiamo meritarlo: cerco di aiutare me stesso e gli altri a meritare un giorno di ritrovarsi insieme in Paradiso».

Nel giugno del 1916, al tramonto del 1° dicembre, una banda di predoni tuareg, saccheggia il suo eremo. Un ragazzotto di 15 anni, preso dal panico per l’arrivo di due cammellieri, gli spara a bruciapelo. Muore sul colpo a 58 anni, nella solitudine più totale.

La sua morte sembra adempiere quanto lui stesso aveva predetto pochi anni prima: «Come il grano nel Vangelo, devo marcire nella terra del Sahara per preparare la futura messe. Tale è la mia vocazione». Nella morte realizza perfettamente la sua vocazione: «Silenziosamente, segretamente come Gesù a Nazareth, oscuramente, come Lui, passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte, lasciandomi come l’Agnello divino tosare e immolare senza fare resistenza né parlare, imitando in tutto Gesù a Nazareth e Gesù sulla Croce».

Leggendo il Vangelo, fratel Charles aveva imparato che la santità non è separazione dal mondo, ma fraternità universale, arrivando a considerare fratelli i musulmani con cui viveva.

«L’amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa».

dP

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