LETTERA APERTA DELL’ARCIVESCOVO
a tutte le volontarie e i volontari che, a partire dalla pandemia, svolgono il servizio di accoglienza in Chiesa alle celebrazioni.
Carissima, carissimo,
della vostra generosità, della vostra costanza, della vostra affidabilità e gentilezza mi hanno parlato i vostri preti e tanti fedeli ammirati e grati.
Desidero ringraziarvi di cuore per quanto avete fatto voi tutti che avete vigilato sull’attenzione ai protocolli, dedicato tempo all’accoglienza, all’accompagnamento delle persone ai posti disponibili, impegnato olio di gomito e attenzione per la sanificazione dopo le celebrazioni. «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Gesù non è insensibile alle attenzioni che si rivolgono a lui e a tutti. Anzi, si lamenta quando l’accoglienza è piuttosto “fredda” e avara di attenzioni. Infatti rimprovera il fariseo che lo ha invitato a casa sua e ha trascurato le manifestazioni di accoglienza affettuosa che ha invece ricevuto dalla donna che Simone fariseo disprezza.
Il mio grazie vuole essere l’eco della gratitudine di Gesù stesso: per il vostro servizio molti si sono sentiti accolti e, per così dire, incoraggiati e invitati a entrare, in giorni in cui la paura del contagio, la pervasiva insidia della pandemia, l’ossessione indotta dalla comunicazione pubblica potevano essere motivo per allontanarsi e scambiare per prudenza l’insicurezza e persino la malavoglia.
Anche grazie al vostro servizio e alle intenzioni degli uni verso gli altri si può affermare con una certa sicurezza che nessuna celebrazione è stata un focolaio della pandemia. E molte ferite e angosce hanno trovato sollievo e guarigione nella celebrazione dei santi misteri.
Che cosa insegna il servizio che avete reso? Insegna che ci sono gesti minimi di bene che sono alla portata di tutti. La puntualità nella presenza, l’attenzione alle singole persone, la ripetizione delle operazioni hanno consentito la prestazione di un servizio indispensabile. Quello che voi avete fatto lo possono fare tutti: dunque ciascuno può farsi avanti per dichiararsi
disponibile. Se il servire fosse sempre una grande impresa che richiede competenze specifiche, grandi disponibilità di tempo, particolari qualità personali, molte persone semplici, impegnate in diverse attività, trattenute da timidezze o imbarazzi, non potrebbero mai sentirsi utili. Invece in questo caso è bastato presentarsi qualche minuto prima, sorridere, per quanto sotto la mascherina, per poter dire: «Anch’io oggi ho servito messa!».
È stato facile fare il bene necessario! Insegna che l’atteggiamento benevolo e cordiale contribuisce a costruire rapporti fraterni e un clima di serena condivisione. Voi, infatti, avete avuto attenzione alle regole e ai protocolli, ma una attenzione esercitata con il saluto, il benvenuto festoso, il riconoscere le persone con uno sguardo amichevole. Comincia meglio una messa quando chi entra si sente conosciuto, salutato, desiderato. Il rischio di una partecipazione alla celebrazione eucaristica vissuta come adempimento individuale è continuamente presente.
Il vostro servizio e lo stile con cui lo avete prestato hanno contribuito a dare qualche segno di festa e di comunità in momenti in cui ne avevamo particolarmente bisogno. Insegna che tutti siamo responsabili di tutti.
La vigilanza per contenere il contagio ha generato anche un atteggiamento sospettoso degli uni verso gli altri: chiunque può essermi dannoso come portatore del virus, che lui lo sappia o no. Invece il vostro servizio ha suggerito la logica della solidarietà: chiunque può contribuire alla mia salute, se rispetta e fa rispettare le attenzioni raccomandate, se vigila sulle distanze, se sanifica le panche. L’azione semplice e il comportamento corretto dichiarano un messaggio importante: «Faccio così perché mi prendo cura di te, di tutti!».
Tutto questo e anche molto altro è il messaggio che voi avete scritto nei giorni della pandemia violenta e pericolosa. Ma quello che avete imparato e insegnato è un patrimonio che deve portare frutto anche per il tempo a venire e suggerire un modo più fraterno, più festoso del convenire per la celebrazione eucaristica domenicale.
Vorrei pertanto incoraggiare ogni comunità a dare vita a un “servizio accoglienza”: non più per un’attenzione privilegiata all’insidia della pandemia, ma piuttosto per una cura della qualità della celebrazione, per un contrasto all’insidia dell’individualismo, per propiziare la dinamica festosa del popolo di Dio che celebra il suo Signore e si sente un cuore solo e un’anima sola. Tutti sono all’altezza del servizio dell’accoglienza. Tutti possono contribuire a seminare nei cuori di ognuno la gioia di essere popolo, Chiesa, fratelli e sorelle.
Coraggio, pertanto, organizzatevi e siate lieti e benedetti.
Mario Delpini Arcivescovo di Milano
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