Il sinodo: i media e la realtà

Ha generato scalpore e disappunto nei mesi scorsi sui media la decisione assunta dal Papa di segretare i lavori del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità, affidando solo a delle conferenze ufficiali le comunicazioni sui lavori che venivano svolti, per non condizionarne i lavori e non fuorviare l’opinione pubblica su un’agenda mediatica secondo il “politicamente corretto”.

Il risultato è stato parzialmente raggiunto: i media hanno ignorato ciò che accadeva e veniva comunicato ogni giorno nel corso dei lavori, per poi criticare i risultati raggiunti perché non hanno messo a tema e confermato i “loro” temi scottanti.

Alcuni giornali sono arrivati persino a cambiarne il titolo iniziale “Sinodo sulle donne prete”!
Senza contare le critiche perché c’erano solo 54 laici e laiche (dimenticandosi che era un Sinodo dei Vescovi!).
Ancora una volta la stampa laica (non tutta per fortuna) ha dimostrato il suo pregiudizio anticlericale!
Occorre allora fare chiarezza e guardare la realtà.

Non era un Concilio, ma la prima fase del Sinodo dei Vescovi (e il fatto che in un sinodo dei Vescovi si siano ascoltati i laici e che i lavori si siano svolti in gruppi paritetici di laiche, laici, vescovi e preti è già un segno notevole del nuovo cammino della Chiesa).

Non era il sinodo conclusivo, ma solo la sua fase d’ascolto (la fase finale sarà nell’ottobre 2024), ed ha prodotto un prezioso documento finale di sintesi (cosa non di poco conto se pensiamo che i partecipanti provenivano da tutti i punti della terra), con tanto di mozioni condivise, questioni lasciate aperte e voti espressi.

Il tema era la sinodalità nella Chiesa, non questioni parziali e discutibili (che pure si sono dibattute, senza tabù).

Detto questo ci chiediamo: cosa è stato e cosa ci consegna?
Ha scritto il teologo Pierangelo Sequeri su Avvenire: “Se parliamo di sinodalità ecclesiale, la forma è il contenuto: l’obiettivo di un “Sinodo sulla sinodalità”, che a uno sguardo puramente teorico poteva quasi sembrare un enigma difficile da sciogliere, si è sciolto adottandolo come esperienza spirituale dell’ascolto reciproco. Ciò è avvenuto non senza lieta sorpresa, per la stragrande maggioranza: riscattando i dubbi che hanno accompagnato il lungo processo di avvicinamento e confermando un nuovo stile ecclesiale.

A cose fatte, questo esito così evidente e così assestato della natura colloquiale della Chiesa – nella sua essenza, nella sua fede, nella sua appartenenza, nella sua pratica – ci sembra un guadagno inaspettato e irreversibile, che ci giunge come dono inestimabile già in questa fase, pur ancora interlocutoria, dell’evento sinodale.

Dobbiamo subito, noi tutti, trovare il modo di capitalizzarlo, trasformandolo in un punto di svolta per la Chiesa che siamo, per la Chiesa che verrà.
Una colloquialità differente – e persino una dialettica – è possibile. Una Chiesa diversa è possibile. Una evangelizzazione diversa è possibile. Il seme dello “stile sinodale” è già un risultato di questa prima assemblea. Il nostro compito è quello di onorarne il dono e di assecondarne il lavoro. Dovremo scoraggiare i cacciatori di zizzania che, per non sbagliare, strappano anche il buon grano.”

Così a differenza della lettura ideologica dei media che volevano una Chiesa divisa e sul punto dello scisma, il Sinodo ci ha consegnato il volto di un’unità nella diversità come modo d’essere imprescindibile.
“La mortificazione di uno scomposto e aggressivo spirito di contesa, che ci è stata inflitta – e che ci siamo inflitti – in questi ultimi anni deve perdere tutte le sue apparenti ragioni e tutte le sue scandalose ostinazioni. Non appartiene alla forma cattolica, anche quando ne inalbera le sante insegne; non interpreta la comunità sinodale, anche quando reclama la libertà dei diversi.”

Lavoro creativo e allegro, dunque, che dovremo esercitarci a immaginare anche nella nostra Comunità e nei nostri gruppi e organismi. In modo che il secondo e decisivo appuntamento della sinodalità radunata a Roma possa essere certo di avere il sostegno di una nuova sensibilità di popolo per la forma colloquiale che la Chiesa va assumendo. Con la certezza che la Chiesa reale – ossia la Chiesa-mistero, visibile e invisibile – si irradia per cerchi concentrici, abbracciando, in modi anche molto diversi, ma ugualmente ospitali, non solo i battezzati, ma anche i più lontani e inconsapevoli cercatori di verità e di senso.

dP

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